lunedì 27 ottobre 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

FRATELLINO E SORELLINA

Grillo
, Annet Schaap (trad. Anna Patrucco Becchi) 
La Nuova Frontiera junior 2025 


NARRATIVA PER GRANDI (dai 12 anni) 

"Ogni storia a un certo punto comincia. 
Spesso è già cominciata prima di cominciare anche la storia di Eliza lo è, da tanto. 
Ma facciamo pure finta che cominci ora, qui: ora che lei sta guardando il mare con una coscia che brucia, lontano da casa, in un porto dove non è mai stata prima, in una cittadina dove non conosce nessuno."

Eliza, camuffata in un giaccone per lei molto grande e con un berretto in testa che ne nasconda i capelli lunghi, si fa passare per maschio. Adesso è con il suo fratello piccolo, Grillo. Insieme stanno cercando di sopravvivere in questo loro viaggio pieno di incognite verso le Bianche Scogliere. Lì vogliono andare perché lì c'è la soluzione alla loro solitudine perché è lì che ritroverà i suoi fratelli maggiori. 
Ma Eliza, con i suoi ultimi soldi, invece di comprare cibo per lei e Grillo si è fatta tatuare il nome degli altri suoi 5 fratelli, per l'appunto spariti un giorno nel nulla. Grillo non vuole più essere lasciato da solo e vuole essere rassicurato che tutto andrà bene. Ma è complicato per Eliza trovare un modo per raggiungere l'obiettivo: il mare è grande, grigio e sembra infinito. 
La prima cosa che va trovato è del cibo, ma l'unica possibilità è rubarlo. Poi va trovato un ingaggio su una barca con un capitano disposto a caricarsi due bambini male in arnese per andare così tanto lontano. 
Questa è l'avventurosa storia di una ragazzina che vuole ricomporre a tutti i costi la propria famiglia, salvandola dal sortilegio. Con lei c'è il piccolo Grillo, l'ultimogenito che lei ha allevato con amore fin dal giorno della morte di sua madre, che ha coinciso con la nascita di questo scricciolo balbuziente che nessuno tranne lei ha voluto con sé... 

Dentro Grillo convivono diversi libri: un'avventura, un romanzo di formazione, una fiaba. 
C'è il ritmo battente dell'avventura che rende la lettura così coinvolgente che si sente il bisogno di girare la pagina e andare per un altro pezzo in avanti. 
E poi però si percepisce anche chiara la sensazione del troppo pieno in testa tanto da rendere necessarie delle pause di decompressione e digestione di quanto si è letto. 
La densità emotiva, la complessità sono attrezzi del mestiere che Annet Schaap usa sempre con grande maestria. E con altrettanta maestria maneggia il perturbante (e direi la fiaba come registro ideale) che anche qui, come aveva fatto in modo molto convincente in Ragazze, si percepisce nella profondità del racconto. 
Come si diceva, la storia di Eliza e Grillo è cominciata ben prima che lei con lui si trovasse a girovagare per questo villaggio sul mare in cerca di un passaggio verso le Bianche Scogliere. E questa prima parte è un continuo susseguirsi di fatti, di cui il lettore apprezza l'imprevedibilità, si gode la tensione, si bea nella sorpresa e capisce il giusto e poco si chiede le ragioni profonde per cui tutto accade. E intanto mette da parte piccoli frammenti per la ricostruzione finale. 
Cosa c'è alla Bianche Scogliere che la spinge a mettere a rischio la vita del suo fratellino e la propria? Da cosa stanno fuggendo qui due? Perché è più importante un tatuaggio che la cena di entrambi? 
Di sorpresa in sorpresa è possibile seguire questi due nel loro percorso a ostacoli: tra bottegaie arcigne e inflessibili, tra sceriffi in cerca di successo, e maestre zelanti che dialogano spesso e volentieri con Gesù. E le sorprese non mancano neanche ai due protagonisti che sono sempre pronti a cambiare la propria rotta. 
Capitolo dopo capitolo, oltre a costruirsi con sempre maggiore chiarezza il contesto, entrano in scena i diversi personaggi che non abbandoneranno la scena fino alla fine. Un mondo variegato di caratteri, alcuni forse un po' prevedibili per un lettore più scaltrito, che vanno ad aggiungere la loro voce in un canto corale. 
Così come Annet Schaap ci ha portato in avanti partendo da un punto ics della storia, non certo l'inizio, così come ci ha presentato un per uno i personaggi più laterali, ma non per questo meno importanti, che Eliza e Grillo incontrano sulla loro strada, così a un certo punto inverte la rotta e ci porta all'inizio di tutto. La vita felice di una famiglia numerosa - 5 fratelloni e una sorella, l'unica femmina - una madre amorevole, al momento incinta del settimo fratello, un padre imprenditore e grande costruttore di strade ferrate sul territorio, ricco e, a suo modo, affettuoso. E poi tutto si frantuma in un attimo: la morte della madre, durante il parto dell'ultimogenito James detto Grillo, spacca in due la famiglia. Da una parte, padre e fratelli che lo ritengono responsabile di quella morte, e dall'altra, la sola Eliza, che decide di salvarlo e di prendersene cura, come avrebbe fatto sua madre. 
Un secondo disastroso fidanzamento del padre manda tutti a zampe all'aria (!) 
Quindi arriva il dolore, il lutto, la solitudine che agiscono sotterranei a sfasciare il resto. E su questo, come per magia ma neanche tanto visti i suoi precedenti letterari, Schaap decide di innestare la fiaba. Il contesto nordeuropeo, la solitudine, il dolore, il coraggio, la sfida, la morte, la prova e il sortilegio e la condizione femminile sono gli ingredienti che Andersen, maestro assoluto della complessità di vedute, ha messo nella sua struggente I cigni selvatici. E uno a uno si ritrovano anche nel Grillo. Accompagnano il lettore in modo discreto, senza troppo parere all'inizio - fatta eccezione per l'aluccia tenuta nascosta di Grillo, che ovviamente è lì come una piccola luce che rischiara il percorso, ma è anche un elemento che perturba le consuetudini. Nelle fiabe accade. 
Poi sul finale il complesso racconto fiabesco dell'autore danese prende la scena e non la molla più. Capisco che sostenere che una fiaba del genere possa essere assimilata al concetto di romanzo di formazione è un po' dura da mandare giù, ma davvero Schaap è in grado di farlo accadere.
Spesso gli innesti, o forse dovrei dire gli ibridi, danno ottimi frutti! 

 Carla

venerdì 24 ottobre 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

IL VECCHIO E IL BAMBINO...

Il libro delle domande-Libro de las preguntas
, Pablo Neruda, Paloma Valdiví
(trad. Giuseppe Bellini) 
Edizioni Lapis, 2025 


POESIA ILLUSTRATA 

"Perché per attendere la neve 
s'è svestito l'albero ?

Le foglie d'inverno vivono 
in segreto con le radici? 

Dove lasciò la luna piena
il suo notturno sacco di farina?" 

Dónde dejó la luna llena 
su saco nocturno de harina? 

Questo è l'ultimo verso della prima poesia della versione originale in spagnolo de il Libro de las preguntas. Neruda non lo vide mai pubblicato. Morto nel 1973, il libro fu pubblicato in Argentina nel 1974. 
Nella sua forma originale si tratta di 74 poesie che si compongono tutte, ma proprio tutte, di domande. Ogni poesia è a sua volta composta da un numero variabile di versi, da tre a sei distici, mai in rima, ben inteso. 
In tutto sono 320 domande, che Neruda ha collezionato nel corso della sua vita e che ha ordinato in forma poetica poco prima di morire. 
Circostanza questa che ha fatto dire che il Libro de las preguntas fosse una sorta di suo testamento poetico e giocoso. 
Ecco. Giocoso, forse è una sua chiave di lettura. 


O quanto meno è la molla che ha fatto pensare a due importanti e illuminati editori di pubblicarlo nella loro collana per bambini. 
Il primo di questi editori è Media Vaca, pazzesca casa editrice spagnola, che lo affida alle illustrazioni di Isidro Ferrer e lo fa uscire nel 2006. Il testo è integrale e le illustrazioni sono, se possibile, un valore aggiunto al testo. 
Il secondo di questi editori è Enchanted Lion, altrettanto interessante casa editrice diretta da Claudia Zoe Bedrick. Ed è questa l'edizione che arriva anche in Italia con Lapis.
Claudia, in quanto editor,  ne pubblica solo una selezione, 39 poesie contro 74, 70 domande contro 320. Decide di cogliere letteralmente fior da fiore dalle domande e le riorganizza in un ordine che non ha quasi più niente a che fare con la suddivisione fatta da Neruda all'epoca. E decide di lasciare, accanto all'inglese, anche il testo originale. Cosa che Lapis, per le troppe difficoltà di acquisizione dei diritti del testo originale di Neruda, purtroppo non fa. 
L'editor di Enchanted Lion lo sottopone all'illustratrice, Paloma Valdivía, sperando che accetti. 
E così succede. 


Paloma, a sua volta, ricevuta la selezione di Claudia, lo stravolge ulteriormente per arrivare a un ordine ancora diverso che però abbia per lei un significato potente e in qualche modo anche "narrativo". 
Lei ha due esigenze fondamentali: segnare come forte il principio e la fine. E se si guarda l'immagine che apre il libro e quella che chiude, si percepisce con grande chiarezza cosa lei vada cercando. 
Inoltre, appunto, Paloma Valdivia vuole creare all'interno del libro una sorta di narrazione che attraversi tre diversi scenari: l'acqua, la terra e il cielo. E se si guardano i risguardi (!) si percepisce con grande chiarezza cosa lei vada cercando. 
E così succede. 
Claudia quindi dà carta bianca (sarebbe più corretto dire carta nera) a Paloma Valdivia (che detto per inciso su questo libro da piccola ha imparato a leggere... poteva rifiutare di illustrare il libro della sua infanzia???), dicendole di fare il libro più bello mai fatto finora e dicendole anche di progettarlo senza porsi limiti, perché poi Enchanted Lion avrebbe fatto di tutto per realizzarlo. 
Su un'unica cosa è molto determinata: Paloma Valdivia nelle illustrazioni non dovrà mai cercare di dare risposta alle domande. 
E così succede. 
Una volta deciso il suo proprio ordine di apparizione delle domande, Paloma Valdivia comincia a ragionare e a studiare: legge tutto Neruda, va mille mila volte a visitare la sua casa e le sue collezioni per capire da dove arrivino queste domande. E poi legge von Humboldt e Darwin, perché pensa che Neruda proprio in quell'ottica si sia posto nell'averle concepite nel corso di una vita. 
Come uno scienziato che va alla scoperta di ciò che non conosce, che esplora il mondo, la natura che lo circonda, capendo una cosa fondamentale: in natura tutto sta insieme. 


E, postasi in questa condizione mentale, Paloma comincia a disegnare. 
E la prima scelta che fa è quella di immaginare spesso il fondo nero, appunto: il colore dell'universo, il colore del mistero, il colore che contiene in sé le cose ignote che sono il grande motore di tante domande. Poi gioca anche visivamente sulle connessioni tra le parti, legando, senza parere, le linee di una pagina con le linee di quella successiva... Vanno cercate, sono lì. Basta seguirle con il ditino. 
Paloma ha anche bisogno di più spazio per tenere insieme più di due o tre domande di fila; secondo lei sono forti i legami che le uniscono. Per accoglierle, nascono per questo le pagine a bandella, là dove necessarie. Questo -detto per inciso- accentua il senso di scoperta, di sorpresa che ogni volta si crea in occasione delle sei pagine doppie, inaspettate e irregolari nell'impaginato. 
Il colore verde dell'inchiostro è l'ennesimo riferimento che Paloma ha voluto nel libro per rendere omaggio a Pablo Neruda che solo di verde ha scritto ogni suo rigo (chi ha letto il magnifico libro sull'infanzia di Neruda, la storia del piccolo Neftalì, ricorderà che verde era anche li colore della stampa e delle illustrazioni del bellissimo Il sognatore, scritto da Pamela Muñoz e illustrato da Peter Sís). 
Tanta cura nel fare un libro, lo studio mattissimo e profondo su Neruda - studio che è durato per tre anni o forse cinque - di Paloma Valdivía hanno avuto un esito: il libro negli Stati Uniti, nel 2022, ha vinto premi prestigiosissimi. 


Per chiudere il cerchio, forse però vanno dette due parole in più sul fatto che un libro del genere abbia solleticato due editori - e adesso tre - per bambini. 
Se dovessi sintetizzare direi che le domande sono la chiave della loro scelta. E con esse, quello sguardo stupito di fronte a tutto quello che non si conosce. Succede un po' così: lo sguardo incuriosito di un bambino non credo sia poi molto diverso da quello di un poeta, ormai vecchio e saggio. 
Le domande sono roba da gente curiosa, roba da gente che immagina per mestiere: sono roba adatta ai bambini e ai poeti. I bambini, loro, per prendere la misura del mondo, ne devono fare in continuazione. Peccato poi che tale sana abitudine di interrogarsi si perda, nella maggioranza dei casi, con il crescere 
Di questo libro i bambini possono reggere il passo e lo sguardo, sguardo che è nello stesso momento attento e meravigliato, esatto e vago... 


E così spero succeda. 

 Carla

mercoledì 22 ottobre 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

UNA QUIETA CHIOCCIOLINA 


C’è una piccola collana che si coltiva un posticino molto particolare sugli scaffali delle librerie. Si chiama I notturni, è edito da Edizioni Piuma e no, non sono i notturni di Chopin, gli amabili brani cantabili, quelli che raccoglie. Questi notturni prendono il lato appunto ‘oscuro’ della notte e lo allargano con il solo potere delle parole, immaginando storie paurose, ambientandole in luoghi tenebrosi, con personaggi insoliti. 
Sono piccoli perché occorre leggerli in solitudine, lasciarsi trasportare da fantasmi, maledizioni, oscure morti. Sono neri, come la notte, le copertine hanno nella parte bassa un occhio che ti scruta, muto. Ancora più in basso due triangoli trafitti da una linea: nella simbologia alchemica il triangolo che ha il vertice in alto significa Aria, mentre l’altro rappresentato, col vertice verso il basso, rappresenta la Terra. È dunque subito chiaro l’ambito in cui si muovono i testi proposti: quello del romanzo gotico, che si spinge fino all’horror, che ha come grandi vati Edgar Allan Poe e Lovecraft. I libri sono avvolti in un cofanetto a tre ante, che abbraccia il libro: sotto il libro che pare diventare ancora più piccolo una volta spogliato, un taccuino nero anch’esso, ma da riempire con parole immagini suggestioni. 
La quarta di copertina è nel cofanetto. 
Nel caso di Eppur si muove, scritto da Laura Marinelli e illustrato da Giulia Ferla, la storia che si narra è quella di Mariano, un bambino di otto anni nato con una minuscola malformazione della mano destra: il bambino, infatti, ha sei dita in quella mano, undici in tutto. Che numero strano, dispari. Il mignolo è fonte di vergogna per il piccolo protagonista, che vive con la madre, donna di servizio presso un conte, a Napoli. Mariano e la madre convivono con questo mignolo strano, che pare viva di vita propria, che anticipa gli stati d’animo del bambino dimenandosi, sfuggendo al controllo. Lo tengono nascosto, consolati solo dal fatto che non sia la sinistra, la mano del diavolo, a essere malformata. Mariano gironzola tra la cucina del conte e la grande sala dove si accolgono gli ospiti e lì conosce Clementina, nipote del conte, sua coetanea, che diventerà grande amica del bambino. Intorno a Mariano aleggia il pregiudizio fin dalla nascita che percepiamo pagina dopo pagina e che esplode nel momento in cui Clementina scompare. 
Capro espiatorio per eccellenza, Mariano ha nel proprio corpo le prove di appartenere al Male. 
Il piccolo romanzo in realtà è scritto su un doppio binario: solo dopo i primi capitoli si capisce che il racconto è scritto di proprio pugno da un Mariano ventenne, disperato ancora dalla scomparsa misteriosa di Clementina. 
La scrittura di Laura Marinelli non è piana: è come l’andamento del libro, che passa dalla lingua italiana al dialetto napoletano, che cambia piani temporali, che saltella nelle menti dei personaggi. Piano piano tesse una narrazione che inevitabilmente porta al momento catartico, in cui tutto esploderà? In cui tutto sarà chiaro? In cui finalmente si saprà? Di certo le caratteristiche gotiche del romanzo sono quasi da manuale: fantasmi, prelati oscuri, vecchi castelli, crocefissi capovolti improvvisamente. 
In tutto questo un solo animale abita i luoghi con saggia postura: le chiocciole, che portano una casa su di sé, che paiono così inermi, così vulnerabili e lente, ma. 
Il libro è abilmente illustrato da Giulia Ferla, le cui illustrazioni accompagnano in modo composto il testo, emergendo solo a fine capitolo e aggiungendo quel giusto all’atmosfera orrorifica del racconto. 
Era da tanto tempo che non leggevo un horror e nel farlo ho pensato che è bello leggere sul bordo tra vita, morte, passaggi, superstizioni. Che è proprio vero quello che si dice che tanta morte chiama tanta vita, come alla fine scopre Mariano. 
Ho anche pensato che occorra ridare vita a questo genere amato e richiesto da ragazzini e ragazzine, qui i lettori ideali sono gli undicenni,  e questa piccola collana ha questo grande obiettivo e merita tutto lo spazio possibile. 
Nel centro della custodia, se si tolgono completamente il libro e il taccuino, c’è una curiosa annotazione sull’origine della chiocciola che usiamo quotidianamente quando mandiamo le mail. 
È una quieta e tenera chiocciola? O nasconde dell’altro? 
Forse occorre sfogliare i codici miniati del Trecento per capirlo. 

Valentina 

"Eppur si muove", di Laura Marinelli, ill. Giulia Ferla, Edizioni Piuma 


lunedì 20 ottobre 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LA COSA IMPORTANTE DI UN CUCCHIAIO...

Un cucchiaio pieno di storie, Sandra Siemens, Bea Lozano (trad. Yuri Garret)
Caissa Italia 2025 


ALBI ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 5 anni) 

"Una volta ho scavato una buca con quel cucchiaio. Jaime, il fruttivendolo, mi aveva regalato dei semi di zucca. Mi aveva detto che dovevo piantarli in cinque buche profonde tanto così e che in estate sarebbero nate le mie zucche. 
Avevo fatto due sole buche quando arrivò mia nonna: 'Quel cucchiaio non si usa per le buche'. Lo rimise nel cassetto delle posate e, in cambio, mi diede una paletta verde per finire di piantare i tre semi. Ma non è la stessa cosa: le palette non scavano altrettanto bene." 

E come volevasi dimostrare di quei cinque semi, solo i primi due attecchiscono, e solo due zucche nascono... 
"Quel cucchiaio" evidentemente non è un cucchiaio qualsiasi, visto che - oltre a nonna che non vuole sia usato per scavare, anche mamma non vuole sia usato per mangiarci la minestra, né papà le permette di suonarci Topolino Topoletto sul fondo di una pentola... 
"Quel cucchiaio" arriva da molto lontano. Molto lontano nel tempo. Ha attraversato indenne quattro generazioni per approdare in quel cassetto dove, in mezzo agli altri, ha un peso e un'importanza particolare. Tutta sua. 
Questa è la sua lunga storia. 
Ma è anche la storia di una bambina che con la Storia di quell'oggetto deve farci i conti per poi decidere come condividerla, nel futuro, con chi verrà dopo di lei. 

Di nuovo la storia di un oggetto. Evviva. 
Di nuovo la storia che si confronta con la Storia. Ari-evviva. 


Il primo grande merito di Sandra Siemens, in questo libro, mi pare sia quello di saper cogliere, con la stessa prospettiva che hanno i bambini, l'importanza degli oggetti.  
Per loro sono essenzialmente utensili. 
Per loro conta essenzialmente la forma, ragione per la quale qui un cucchiaio è per mangiare la minestra, per scavare una buca, per suonare una pentola. 
Mi vengono in mente due libri che - è garantito dalla biografia documentata delle due autrici Krauss e Wise Brown - di certo dei bambini riportano la voce autentica. 
Loro li hanno interrogati, li hanno ascoltati e hanno saputo riportarne il pensiero con assoluta onestà. 
Se si conoscono questi due titoli - La cosa più importante, di Margaret Wise Brown e Leonard Weisgard e Un buco è per scavare di Ruth Krauss e Maurice Sendak - si converrà che Ruth Krauss e Margaret Wise Brown, intorno agli anni Quaranta e Cinquanta e Sessanta del Novecento, hanno davvero rivoluzionato i libri per l'infanzia e il pensiero che li generava. 
Entrambe lo hanno fatto, usando la strada più dritta: sono risalite dirette verso la fonte. 
Entrambe, infatti, hanno frequentato con assiduità i bambini e le bambine della Bank Street School, baluardo di assoluta avanguardia pedagogica per l'epoca, guidata da Lucy Sprague Mitchell. Loro parlavano con quei bambinetti, ma anche con i loro vicini di casa cinqueenni, o con bambini incontrati sulla spiaggia... Quest'ultimo, per esempio, era un vero bambino che su una vera spiaggia stava scavando una vera gran buca. Quando Ruth Krauss gli rivolse la parola e gli chiese a cosa servisse... Lui le rispose: quello che è poi diventato il titolo del libro illustrato da un Sendak prima maniera. 
Il loro merito è stato quello di chiedere, ascoltare, non dimenticare e restituire voce. 


Mi pare che qui Sandra Siemens (e Bea Lozano le va dietro) abbia fatto lo stesso: dalla paletta verde che non funziona fino all'ultima riga del testo. Terzo evviva! 
Ma a parte questo, che non è per niente poco, anzi è il valore del libro, farei due altri ragionamenti su di lei. 
Visto il suo cognome e vista l'Argentina come suo luogo di nascita, mi viene da pensare che questa storia, se non proprio sua personale, tuttavia ne ripercorra alcune tappe. 
E così si arriva alla seconda grande questione che meritatamente il libro pone: la Storia più grande che si infila nella storia più piccola di un singolo oggetto. E lo fa attraverso il ricordo, che ha un suo portato affettivo maggiore, rispetto al concetto di memoria... 
Quindi tutto comincia da un servizio di posate che viaggia e non sopravvive alla guerra se non per un cucchiaio, che immediatamente diventa importante 'parte per il tutto', oramai andato perduto. Da quel momento in poi il cucchiaio diventa ricordo e, come tale, va conservato e passato di generazione in generazione. 
E anche la bambina piantatrice/suonatrice lo riceverà in dono - qualcosa di simile a una vera e propria dote di famiglia. 


Ma qui avviene un'ulteriore sterzata che non era così scontata, ma si allinea con quanto riconoscevamo a Margaret Wise Brown e a Ruth Krauss (ma anche a tanti altri dopo di loro).
Da bambina quale è, va da sé che il suo progetto futuro per l'utilizzo del cucchiaio sia diametralmente opposto rispetto a quello 'museale' che madre, padre e nonna hanno praticato finora e che le suggeriscono di continuare. 
E questo scarto rispetto al pensiero adulto fa la differenza. 
Lei va per la sua strada!


Circostanza non irrilevante per fare di un libro, che poteva essere retorico nel finale, un buon libro! 
Su che fine farà quel cucchiaio, non è dato fare ipotesi.
L'unica cosa che auguro a quella ragazzina è quella di non smarrirlo! 

Carla  

Noterella al margine. Un post a sé meriterebbe Bea Lozano che fa un lavoro davvero interessante. Non so se sia successo veramente, ma dentro i suoi disegni si sente il palpito di Arnal Ballester che, se non è stato suo diretto maestro, lei conosce e guarda con devozione. O Wagenbreth? Brava a usare la doppia pagina senza paure, brava a ingrandire e rimpicciolire dove necessario. Brava a sentirsi così libera rispetto al testo. Brava brava. 
E, visto che è un esordio qui in Italia, sarebbe bello poterla rivedere presto. 

Seconda noterella al margine. Per puro spirito di completezza, qui il testo relativo alla definizione di cucchiaio dal libro La cosa più importante:

La cosa importante 
di un cucchiaio 
è che lo usi per mangiare. 
È come una piccola pala, 
lo stringi nella tua mano, 
puoi metterlo in bocca, 
non è piatto, 
è incavato 
e raccoglie le cose. 
Ma la cosa più importante 
di un cucchiaio 
è che lo usi per mangiare.

Terza noterella al margine. Avrei da ridire sul titolo dell'edizione italiana... ma vabbè. Chi mi conosce lo sa che sono severissima.

venerdì 17 ottobre 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

SMUOVERE LE SFERE UNIVERSALI

Se dormo con gli occhiali, vedo meglio i sogni? I grandi quesiti dei bambini, Claude Ponti (trad. Giorgia Arnaldi, prefazione Maura Gancitano) 
Babalibri 2025 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 6 anni) 

"Apolline, otto anni, chiede: PERCHÉ ALCUNI ANIMALI DEPONGONO LE UOVA E ALTRI NO? SE ANIMALI COME GLI ELEFANTI, GLI UMANI O LE GIRAFFE DEPONESSERO LE UOVA, DOVREBBERO PRIMA COVARLE… 
MA SAREBBERO TROPPO PESANTI E I GUSCI SI ROMPEREBBERO! QUINDI SERVIREBBERO GUSCI RESISTENTISSIMI, MA A QUEL PUNTO I PICCOLI NON RIUSCIREBBERO A ROMPERLI PER USCIRNE… E NASCERE. 


Leïla, cinque anni e mezzo, dice: A QUANTO PARE SONO NATA IL GIORNO DEL MIO COMPLEANNO… 
SÌ. IL CHE SI SPIEGA PERCHÉ IERI VIENE PRIMA DI DOMANI CHE ARRIVA SUBITO DOPO OGGI CHE SCOMPARE APPENA ARRIVA DOMANI E CHE DIVENTA IERI E COSÌ VIA, AVANTI E INDIETRO. ALLORA, PER NON DIMENTICARE IL GIORNO IN CUI SEI NATA, IERI, SI FESTEGGIA OGNI ANNO LO STESSO GIORNO DELLA TUA NASCITA, IL CHE SIGNIFICA CHE HAI UN ANNO IN PIÙ E UNO STRATO IN PIÙ SULLA TUA TORTA DI COMPLEANNO QUANDO È OGGI. ECCO. 


Caroline, tre anni e mezzo, chiede: MAMMA, IO HO UN DESTINO? SÌ, DA QUELLA PARTE!" 


Il libro funziona così: ci sono dei bambini e delle bambine che per età variano dai 3 anni ai 10 e ciascuno di loro si presenta con una domanda. Solo in rarissimi casi, con delle affermazioni. A ciascuna di queste questioni sollevate è dedicata una pagina e un disegno - un fumetto in verità - che in qualche modo cerca di dare una risposta o di giocarci su e aprire ulteriori scenari di indagine. Alle domande ci sono i piccoli, alle "risposte" illustrate c'è un grande (in tutti i due sensi), che è per l'appunto Claude Ponti con i suoi innumerevoli topi. 
La qualità e la varietà delle domande lasciano davvero senza fiato. 
E si potrà notare facilmente come spetti ai più piccoli - treenni, quattrenni e cinquenni - la capacità di smuovere con i loro quesiti le sfere universali. 
Tanto più i bambini e le bambine crescono, tanto più le loro domande si fanno specifiche, indirizzate ad ambiti più particolari, ma non per questo meno fulminanti. 
Per esempio: cosa vuol dire artificiale? Il mondo potrebbe funzionare senza i soldi? Pesiamo di più quando pensiamo a un cervo piuttosto che a un gatto? Ecco, cose così. 
Le domande, che sono state raccolte per 7 anni nelle pagine della rivista Philosophie Magazine, sono dei giganteschi inneschi per la creazione di mondi a sé stanti che possono essere brevemente esplorati per andare nella direzione di una possibile risposta. 
Fa bene Maura Gancitano, la filosofa cui è stata affidata la prefazione, a intitolarla Piccoli teatri dell'immaginazione perché Ponti - così ho imparato - per tutta la sua vita di autore di libri per l'infanzia non ha fatto altro che creare mondi. Mondi immaginari che si spalancano una volta superata una fatidica soglia. 
Qui, ancora una volta, questa sua modalità di raccontare storie si ritrova quasi tale e quale. 
Il quasi dipende proprio dal respiro più affannato di dover rispondere in una sola pagina alla singola questione posta. Il grande respiro dei suoi libri più famosi - da Biagio a La mia valle, passando per il Catalogo dei genitori - qui non ci può essere. 
Rimane intonsa invece la sua capacità di offrire scenari - da cui i piccoli teatri, cui allude Maura Gancitano, che mettono in scena spazi sconosciuti da andare a esplorare. Ecco, forse la chiave è proprio questa: quella di non voler dare una risposta 'chiusa' a domande così tanto ariose, ma invece mettersi in gioco e provare a rilanciare. 


Mettersi in gioco e rilanciare prevedono due condizioni necessarie da parte di un adulto: da un lato mettersi lì ad ascoltare con attenzione la domanda per poterne cogliere per intero la grandezza e dall'altro lato dimostrare di avere la capacità di spingere il ragionamento nella direzione dell'immaginazione, ossia del possibile. Ma sono pochi gli adulti che lo fanno di default quando dialogano con i bambini... 
Ma Ponti sì. Lui lo fa.
Per questo, alla bambina che chiede se Babbo Natale crede in Dio, lui risponde con la chiarezza inoppugnabile che suona come un sillogismo, seppur folle. 
E ancora, a Shilo, che pone una questione apparentemente facile e logica, Ponti gli dà una risposta che fa davvero saltare sulla sedia per quanto trasversale e inafferabile si dimostra! 
Sono certa che tanto la filosofia (o se preferite le grandi domande) quanto autori come Ponti siano cibo necessario all'infanzia per crescere bene! 
Qui, insieme! 

 Carla

mercoledì 15 ottobre 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

CINÉMA, MON AMOUR! 


“La finestra dava sulla baia. La pioggia aveva ripreso a cadere sul mare come un enorme sipario spumeggiante. Una palma in vaso spingeva con tutte le sue forze contro il vento, in direzione della luce fioca (…). 
Le palme... La California... Il sipario si strappò e la scena, stranamente, si capovolse... si illuminò. Tutto a un tratto. La finestra chiusa su quella grigia baia scozzese parve schiarirsi, ingrandirsi, aprirsi... E contro il paesaggio bianco di pioggia attraversato dai gabbiani, proiettò all’improvviso il ricordo dei miei 16 anni in Technicolor e su grande schermo”

Ed è già cinema! Possiamo accomodarci e goderci la magia. 
“Il ragazzo che sapeva troppo” è la storia di un film di fantasmi (i fantasmi sono una sua passione, evidentemente) che diventa a sua volta un film fantasma: appare, poi scompare e infine riappare. Una storia circolare, rotonda come la bobina di un film di altri tempi. E Malika Ferdjoukh intreccia diversi dati di realtà per ospitare una storia di finzione. 
I dati di realtà: Alfred Hitchcock all’età di 20 anni aveva assistito a una rappresentazione teatrale dal titolo Mary Rose, scritta da J. M. Barrie (l’autore di Peter Pan). Ne rimane profondamente colpito e negli anni successivi proverà a farne un film, che però non convincerà la produzione e dunque non sarà mai realizzato. Il testo teatrale che incantò il giovane Hitchcock, in estrema sintesi, racconta di una giovane donna, Mary Rose, che recatasi su un’isola scozzese scompare per poi riapparire di tanto in tanto in forma di un fantasma che la blocca all’età e al tempo della sua scomparsa. Quando dopo molti anni il figlio Henry ormai adulto si recherà sull’isola cercando le tracce della sua infanzia, incontrerà il fantasma di sua madre. 
La finzione: Henry -che ora è il nome del protagonista della nostra storia- è un uomo che ha superato la sessantina e si sta recando con sua moglie su un’isola della Scozia (traghettato da un pescatore che si chiama Cameron, come il pescatore che traghetta Mary Rose sull’isola nel testo teatrale... e così comincia il valzer delle citazioni). Ha ricevuto un invito da una donna di cui al momento non sappiamo nulla. Mentre attende di essere ricevuto il suo sguardo intercetta quella palma: una visione che strappa il sipario (Il sipario strappato, Hitchcock, 1966) trasportando Henry e noi lettori in un lungo flashback che ci riporta a 50 anni prima. 
Ora siamo a Parigi negli anni ‘60. Henry e suo padre condividono una profonda passione per il cinema, i due entrano ed escono in continuazione dalle sale che proiettano il grande cinema. Conoscono a memoria scene, trame, nomi dei divi, rivedono ripetutamente i film che amano. Per un caso assolutamente fortuito (e anche molto divertente) padre e figlio si trasferiscono da Parigi a Los Angeles e, per un caso ancora più fortuito, si ritrovano a lavorare a Hollywood, su un set segretissimo dove il grande Hitchcock sta girando, appunto, la storia di Mary Rose. Henry non poteva chiedere di più: di giorno si gode i fasti della California dei divi e di notte (poiché il film è top secret) sgrana gli occhi per lo stupore di vedere all’opera il grande regista. Ma la passione del giovane Henry per il cinema (ma anche un po’ il suo segreto innamoramento per Veronica, l’attrice che sul set interpreta Mary Rose) lo metterà presto in un brutto guaio e diventerà, suo malgrado, artefice della sparizione della pellicola. 
La trama si fa sempre più rocambolesca, con personaggi che vengono via via disegnati con una inesorabile sequenza di dettagli che lentamente andranno a definirli a tutto tondo. 
Un’avventura che segnerà la vita del giovane protagonista e che, nell’ultimo capitolo, lo porterà in quella casa su quell’isola scozzese dove ogni cosa ritroverà il suo posto. 
Intrighi amorosi, furti, suspense, dialoghi serrati e ironici e soprattutto un inseguimento à bout de souffle (giusto per rimanere nel grande cinema di quegli anni) costruiscono una trama davvero degna di un film di Hitchcock. 
In effetti è proprio Alfred Hitchcock il vero signore della storia e si ha l’impressione che Ferdjoukh abbia voluto costruire un racconto che è il risultato di un puzzle di pezzi hitchcockiani, una trama che, come si è detto, si insinua tra diversi dati di realtà. Ogni capitolo porta il nome (o il riferimento) a uno dei titoli del grande regista inglese e non c’è pagina in cui non si possa trovare, in maniera più o meno esplicita, un riferimento a lui, ai suoi collaboratori, alle trame e ai personaggi dei suoi film (compresi i corvi neri!). Nella storia trovano posto: Lina Lamont, il personaggio coprotagonista in Singing in the rain; la governante Madame Homolka, che porta il nome dell’attore Oscar Homolka che recitò in Sabotaggio; la costumista Edith Head, che lavorò con molti dei più grandi registi dell’epoca e per moltissime delle pellicole di Hitchcock portandosi a casa ben otto oscar; incontriamo anche Fred Astaire che scommette all’ippodromo e, sull’etichetta della bobina trafugata, troviamo il nome di Peggy Robertson che fu assistente alla produzione di Hitchcock per una trentina d’anni e che recitò per tre dei suoi film più noti. E chi avesse visto e rivisto i film del regista inglese di recente o ne serbasse una limpida memoria, potrà trovare innumerevoli richiami a singole scene e ai diversi personaggi dei suoi film. 
Sono tantissimi i riferimenti al mondo hitchcockiano tanto che questo romanzo potrebbe essere utilizzato per una caccia la tesoro. Sicuramente fa venir voglia di rivedersi tutte le pellicole di quel gran genio. 
E a parte Hitchcock? 
A parte Hitchcock è la storia di un ragazzo che cresce dentro una grande passione. Una passione che lo aiuta a crescere. In questo senso possiamo dire che è un romanzo di formazione. E non certo il suo primo... Ma soprattutto è una dichiarazione d’amore al cinema e a chi, grazie al cinema, immagina e cresce. 
Piacevolissimo da leggere, potrà essere proposto a partire dai 14 anni e ai fans di ogni età delle pellicole del grande Alfred. 

Patrizia 

“Il ragazzo che sapeva troppo”, Malika Ferdjoukh, trad. di Chiara Carminati, Pension Lepic 2025 


lunedì 13 ottobre 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

NOMEN OMEN: LA SOLITUDINE DEI NUMERI ULTIMI 

Adelmo che voleva essere Settimo, Daniele Mencarelli 
Mondadori 2025 


NARRATIVA PER MEDI (dai 9 anni) 

"Adelmo vorrebbe correre coi fratelli, ma il fiatone gli spezza il respiro, ha le gambe troppo corte per andare allo stesso passo degli altri, è uno scricciolo di bambino, perso dentro pantaloni tanto più grandi della sua taglia. Quei pantaloni hanno camminato assieme alle gambe di tutti e sette i fratelli, da Primo a lui. Consumati e rattoppati, allungati e poi riaccorciati, ne avrebbero di corse e di avventure da raccontare! 
Col mento che trema per il pianto trattenuto a fatica, con passo da soldatino arrabbiato, Adelmo rientra in casa. 
'Sempre la stessa storia'." 

La storia è questa: Settimo figlio di Evelina ed Ernesto, il piccolo Adelmo viene sempre lasciato indietro dai suoi fratelli: Primo, Secondo, Terzo, Quarto, Quinto e Sesto. Ogni due anni un figlio e solo all'ultimo Evelina decide di dare un nome che è un nome più che un numero al neonato. Forse è questo che lo rende diverso agli occhi dei suoi fratelli che come possono lo prendono in giro, lo lasciano solo e lo accusano di essere il cocco di mamma, perché è quello che ha bisogno di più cure degli altri. 
Nella casa di Ernesto, valente muratore, e di Evelina, valente madre e massaia, non si naviga certo nell'oro, ma anche di fronte a qualche digiuno i due genitori sono bravi a non far mai perdere il buon umore a quella masnada di ragazzini. E anche quando la crisi si diffonde nel Regno della Pianura Piccola dove loro abitano, Ernesto riesce a stare a galla onorevolmente con il suo mestiere. A tal punto da potersi permettere qualche anno di scuola per il piccolo Adelmo. 
La morte improvvisa di Ernesto, però, cambia tutto. Una morte sul lavoro. 
I sei figli partono per cercare, ognuno, il proprio posto nel mondo e a casa restano solo Evelina, consumata dal dolore e dagli anni, e il giovane Adelmo che, oltre a prendersi cura della madre, lavora in campagna dal sor Fiorenzo, si prende cura dei suoi animali. 
Questa è la sua storia, la storia del suo viaggio alla ricerca dei sei fratelli da riportare a casa, perché la vecchia Evelina non vorrebbe proprio dover morire senza riabbracciarli tutti almeno un'ultima volta... 
Ma è anche la storia di Adelmo che parte ragazzo e torna uomo. 
Ma è anche e ancora la storia di uno che combatte contro la solitudine e la sconfigge! 

Tutti, ma proprio tutti, parlano di questo libro di Daniele Mencarelli come del suo esordio nel panorama dell'editoria per ragazzi. 
Le cose non stanno esattamente così. 
Più o meno un anno fa, a Natale, usciva il primo testo di Daniele Mencarelli per ragazzi: C'era questa donna. Un testo breve, illustrato magnificamente da Beatrice Bandiera, che quindi è diventato un albo illustrato. 
In quell'occasione Daniele Mencarelli, su suggerimento di Goffredo Fofi se non erro, aveva scritto e proposto un testo a orecchio acerbo. In quel caso, una natività di una donna africana in un bagno di un'area di servizio, sola e spaventata. Una santissima nascita annunciata - come quella ben più nota - non da angeli, ma da un uomo, anche lui di pelle scura che tutti considerano un matto, ma che non si è risparmiato di correre ai quattro angoli del mondo ad annunciare la lieta novella: è nato un bambino... Decisamente nelle corde di Mencarelli, se si conoscono i suoi magnifici romanzi con storie di persone che vivono, per ragioni diverse, sempre ai margini. Altri due 'invisibili' di Mencarelli. 
Se è pur vero che non si tratta di un esordio in piena regola, è pur vero che Adelmo che voleva essere Settimo è il primo romanzo di Mencarelli e quindi Mondadori che lo pubblica, lo annuncia come un grande evento. 
A parte queste spigolature, qui Mencarelli si cimenta effettivamente in un ambito che non è il suo: ossia decide di scrivere una storia che ha il passo della fiaba. 
Non esordisce con il consueto "C'era una volta", ma decide di cancellare ogni punto di riferimento cronologico, ambientando le vicende in un passato indefinibile con certezza, dove ci sono regni rivali, dove arrivano le carestie, dove si va a dorso di mulo, dove a raccontare è una giovane cantastorie. 
Come nel canone della fiaba anche qui c'è l'eroe (o l'antieroe, visto che a scrivere è Mencarelli) che ha una precisa missione da compiere, e per questo deve attraversare territori e superare prove per poi tornare al punto di partenza vittorioso e, naturalmente, cambiato! 
Quasi del tutto assente è l'aspetto magico: non ci sono fate o streghe, non ci sono oggetti fatati, c'è solo un fiume che si personifica per aiutarlo. Il magico, come sostiene la piccola Evelina, è proprio lui, Adelmo. 
Robusto è l'impianto: con uno schema che si ripete per quattro volte, sostanzialmente senza grandi variazioni: ricerca del fratello, incontro con il fratello, partenza con il fratello in cerca dell'altro fratello, prova diversa da superare, prova superata senza troppa fatica. 
E chiusura perfettamente rotonda tra inizio e finale. 
A onor del vero, va detto che tutto decolla e diventa meno routinario proprio a un terzo dalla fine, quando smettono i fratelli e arriva una prova di coraggio che ad Adelmo lo stende per bene. 
Forte è soprattutto il lato 'umano' della vicenda. Il protagonista, il piccolo Adelmo, che fin dalla nascita è segnato da un gesto di affetto materno, quel nome diverso dagli altri gli si ritorce contro come uno stigma. Lo rende, suo malgrado, un estraneo, tenuto lontano dai suoi fratelli maggiori, cui lui invece tende sempre le braccia. 
Io l'ho visto accadere e d'istinto ho preso le parti del più fragile: i più piccoli di un gruppo, gli ultimi in ordine di età e di altezza, sono sempre lasciati indietro dai più grandi. Devono sgomitare per farsi accettare. E qui il canone è perfettamente rispettato: snobbato dai fratelli, protetto dalla madre. 
Adelmo combatte la solitudine. Questo è il punto di partenza. Ma ha bisogno di armi per arrivare in fondo e vincerla. Così Mencarelli lo dota, per contraltare la sua apparente debolezza, di una serie di qualità, veri 'attrezzi' del mestiere, che lui - talvolta inconsapevolmente - usa per andare avanti nel mondo. 
In primo luogo è parecchio intelligente ed è più istruito degli altri. Ha in dotazione una forte dose di empatia, in particolare con gli animali (altri subalterni come lui), di cui capisce al volo i pensieri e che riempie di attenzioni, ricambiato nel momento del bisogno. E possiede un senso del dovere più alto di lui: più e più volte capita di vederlo farsi carico del peso del mondo o, quanto meno, del rischio in cui lui ha messo i suoi fratelli che decidono di seguirlo. 
Il senso del dovere e l'intelligenza gli offrono su un piatto d'argento la terza sua dote: il coraggio. Non è esattamente vero che lui parta fifone e torni coraggioso, perché già il solo fatto di decidere di incamminarsi verso l'ignoto a dorso d'asino in cerca di ben sei fratelli di cui non sa più nulla da tempo, lo si può considerare già una bella prova di coraggio.
Allora se da una parte sono la struttura e la costruzione psicologica del personaggio a convincermi, dall'altra ci sono invece un pugno di cose che mi hanno lasciata perplessa. 
E tutte hanno in qualche modo a che fare con la prudenza. 
Troppo a freno è tenuta la possibilità di 'sterzare' da un sentiero sicuro e benevolo. 
Sulla ragione per cui questo accada, provo dopo a fare un'ipotesi. Ma alla fine. 
Torno al colpo di sterzo: credo che lo scrivere debba muoversi in molte direzioni diverse e lo debba fare per costruire spessore, complessità e quindi senso. Una trama robusta che si riempie di eventi inaspettati, di prospettive differenti, di molteplicità di letture dei fatti sono elementi che tengono alta l'aspettativa e l'attesa, la curiosità e lo stupore, l'emozione e quindi l'attenzione nel lettore. 
Nel momento in cui Mencarelli decide di farlo accadere, uscendo dal sentiero, creando problemi seri all'eroe, oppure facendo entrare in scena qualcuno che un fratello non è, puntualmente il racconto lievita e si gonfia. 
Prudenza nei confronti dei personaggi: in particolare i fratelli che, a parte i diversi mestieri che svolgono, a parte la loro storia personale, sono agli occhi di chi legge quasi interscambiabili. E tutti molto - troppo - condiscendenti. È vero che loro - nell'economia della morale della storia - sono un blocco unico, ossia il tesoro da riportare a casa, tuttavia Mencarelli è uno che sa scrivere, sa osare e sa raccontare molto bene la complessità umana, quindi perché negarselo in questa occasione? Sarebbe stato bello vederli interagire tra loro nella diversità: giocare, litigare, prendersi in giro, volersi bene, discutere. Insomma, vedere un pugno di fratelli un po' più autentici e un po' meno ingessati nel loro ruolo di stazioni di passaggio lungo il percorso di maturazione del piccolo Adelmo. 
E adesso l'ipotesi sul possibile perché questo sia successo. 
Non è che per caso, tutto è dipeso dall'aver pensato troppo al lettore finale? 
Come se qualcuno, più avvezzo di Mencarelli a conquistare il pubblico dei più piccoli, gli avesse suggerito di non perderlo mai di vista il suo lettore bambino. Suggerendogli che forse i bambini è meglio tenerli lontani, un po' all'oscuro, dalla complessità del mondo e dalla difficoltà dei rapporti interpersonali, dalle troppe cattiverie, dalle troppe ingiustizie, da troppi inciampi, cercando invece di fargli solo vedere, come in una fiaba (!), dove sia il Bene, per farlo trionfare, per pacificare gli animi in cerca della tanto anelata morale della storia?
Forse.

Carla

venerdì 10 ottobre 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

LASCIA E RADDOPPIA

Lo spazzolino o l'orso Nino? Mia Floridi, Chiara Ficarelli 
Il Castoro 2025 


ILLUSTRATI PER PICCOLI (dai 4 anni) 

" 'Ma... hai preso l'ombrello?' 
Fuori il cammello, dentro l'ombrello. 
'E le mutandine?' 
Fuori le macchinine, dentro le mutandine.
'E i calzini?' Fuori i pinguini, dentro i calzini '
E lo spazzolino?' 
Fuori l'orso Nino, dentro lo spazzolino." 

Famiglia in partenza. 
Papà in arrivo con la macchina e la mamma di Teo mette alla prova il suo bambino: prepararsi la valigia da solo. 
Il motto è: prendi solo l'essenziale! 
Lui in una stanza, lei nell'altra, entrambi stanno preparando i bagagli. E se è vero che è solo l'essenziale quello che va portato, Teo non ha dubbi: i suoi giocattoli sono l'essenziale! 
Alla mamma, che sta occupandosi dei propri bagagli, però viene un dubbio. Alle madri vengono sempre dubbi. 
Dalla sua camera da letto in penombra non può controllare che effettivamente Teo stia mettendo nel suo piccolo trolley le cose necessarie. E così, a voce alta gli snocciola il necessario da avere con sé in vacanza... La valigia che già faticava a chiudersi con i soli pupazzi, ora scoppia. 
Se prima Teo era a un bivio tra ombrello e cammello, ora è a un trivio: ombrello, cappello o cammello? Mutandine, macchinine o pantofoline? 
Bisogna trovare una soluzione e Teo la trova! 
E chi è senza peccato, scagli il primo bagaglio... 

La valigia è lo specchio di chi la fa! Non posso dimenticare il mio orgoglio interiore di fronte allo zaino compatto e sodo di mia figlia in seconda media alla partenza con la sua classe: occupava un terzo del volume dei trolley rosa di molte sue compagne. Ma ricordo anche, con tenerezza e comprensione autentica, il sacco americano - un cilindro alto un metro - pieno dei peluche di quella stessa figlia, ma 10 anni prima, che ci intimava di portare con noi ovunque andassimo...
Quindi il libro di Mia Floridi e Chiara Ficarelli non può passare inosservato sotto gli occhi di una che dei bagagli ne ha fatto una religione.
 

Non mi sento di definirlo un libro epocale e indimenticabile, ma ha almeno alcune caratteristiche che lo rendono interessante e piacevole. 
La prima è proprio la questione che pone. Ossia, cosa si intende per essenziale? E l'essenziale per una madre è davvero l'essenziale anche per un figlio? E l'essenziale per un ragazzino delle medie (provare per credere).
E qui si apre il solito invalicabile baratro tra il mondo degli adulti e quello dei ragazzini. 
Ammetterlo da parte degli adulti sarebbe già un passo avanti, nella giusta direzione.
La seconda questione, assolutamente taciuta dal testo, se non per un accenno sul finale, mette ancora più in evidenza il diverso valore della parola essenziale per gli adulti. Almeno per quelli di questa famiglia... Questo scarto, seppure lieve, tra quello che il testo snocciola, come una litania, e quello che Chiara Ficarelli mette sul foglio rappresenta il divertimento sostanziale del libro. 
A parte il gustoso testo in rima, ovviamente. 


Mi ha fatto sorridere, spippolando qua e là in rete, notare che altri pareri su questo libro semplicemente hanno ignorato questo scarto: nessuno sembrerebbe essersene accorto. 
Ci si è dilungati preferibilmente sul valore delle scelte, sulla ricerca di autonomia cui ogni bambino dovrebbe aspirare - si intende tutte belle cose - ma il sense of humor che sul finale si accentua un bel po' non è stato proprio visto. Il fatto che nessuno sia del tutto senza colpe, in questa storiellina, è passato sotto silenzio. Ma è lì sotto gli occhi di tutti. Perché non notarlo? 
Come spesso accade, è l'edificante che diventa vincente.


Pazienza.
Ecco, la terza cosa è proprio il gustoso testo in rima cui si è accennato prima. 
Per questa caratteristica il libro va necessariamente letto ad alta voce. Ed è stato scritto sapendolo bene.
Va scandito il ritmo tamburellante dei diversi rovelli che il bambino si pone. 
Nella prima metà del libro, di fronte alla facile scelta fra giocattolo e indumento, per poi crescere di intensità quando la scelta raddoppia: indumento, indumento o giocattolo? 
Per poi fare un breve respiro e partire con il crescendo finale! 
E scoppiare a ridere di gusto sull'ultima tavola.
Divertente: da mettere in valigia. 


E se per caso non ci stesse, da portarselo comunque, stringendoselo al petto!

Carla

mercoledì 8 ottobre 2025

FUORI DAL GUSCIO (libri giovani che cresceranno)

A VOLTE BASTA UNA SCINTILLA


George ha tredici anni e convive con un grande dolore, la morte di suo padre un anno e mezzo prima, a causa di un incidente stradale. Il dolore è anche di suo fratello maggiore e di sua madre, ma quello che lo differenzia dagli altri componenti della famiglia è il fatto di essere stato presente a quella tragedia e di esserne stato un fortunato sopravvissuto. 
Tutto per gran parte del libro ruota intorno a questa condizione emotiva e affettiva e al tentativo disperato del fratello e della madre di alleviare una ferita che sembra non sanare e che ha fatto sprofondare George in un baratro dal quale sembra oltretutto non volere uscire. Ognuno si muove terrorizzato dal pericolo di ferire ulteriormente questo ragazzo che ha assunto agli occhi di tutti la consistenza di guscio di fragilissimo vetro e che si percepisce invece a sua volta come un blocco granitico dal quale non riesce a emergere alcuna emozione, tanto che neanche le lacrime sono riuscite a sgorgare nel momento successivo alla tragedia. 
Cosa invece a un certo punto sembra finalmente destare interesse in George? 
Un episodio di cronaca riportato dalla stampa locale: in una zona paludosa limitrofa un puledro fuggito è stato ritrovato completamente sbranato. Le ipotesi sono tante, da un puma del quale si favoleggiava già anni prima, fino a quella che attribuirebbe la fine del cavallo a una belva feroce di cui si sono saltuariamente registrati degli avvistamenti. 
Beh, tutti scherzano ammettendo di non credere che possa esistere una bestia simile, eppure… eppure orde di turisti si muovono alla ricerca di questa creatura feroce. George da bambino è stato molto interessato agli animali; la sua intelligenza brillante lo ha guidato alla conoscenza anche di specie poco note. Qualcosa in lui riemerge da quei ricordi e sembra stimolarlo a curiosare in quel posto, sebbene non proprio dei più confortevoli e rassicuranti. 
Suo fratello Jonathan vuole tentare l’impresa di un’intervista a un poeta che abita proprio da quelle parti, senza confessare quale sia la sua reale intenzione. George dichiara di volerlo accompagnare. 
Ma le cose non vanno come previsto e i due ragazzi si trovano a vivere una rischiosa avventura. 
La storia si svolge nel 1976 e questa scelta aiuta anche ad ambientare alcune situazioni che oggi, armati come siamo di cellulari e navigatori, sarebbe stato più difficile giustificare. Riusciamo ancora a perderci? Possiamo contemplare ancora un simile rischio? Ad onore del vero ovviamente anche ora potrebbe accadere (sarebbe sufficiente un luogo non raggiunto dal segnale o un cellulare completamente scarico), ma forse in un periodo storico in cui l’ipotesi stessa dello smarrimento era ammessa il senso di un racconto simile può essere diverso. E finire per acquisire quegli aspetti inquietanti eppure incredibilmente affascinanti che oggi riconosceremmo con maggiore difficoltà. Oppure potremmo dire che perdersi oggi, per un ragazzino di 13 anni e non solo, riuscirebbe a provocare un senso di smarrimento tale da bloccare qualsiasi iniziativa. 
Invece George si muove e il rischio in cui si trova e l’urgenza di fare qualcosa questa volta per primo e per quel fratello che tenta in ogni istante di proteggerlo da qualsiasi ulteriore sofferenza lo costringerà a rompere quella cortina di ferro che lo separa da tutti e non meno, ovvio, da sé stesso. 
L’elemento bestiale, malvagio e soprattutto nascosto e in agguato, si è sempre prestato a raccogliere, moltiplicare e trasformare storie che attingono alla parte dell’animo umano meno facilmente sondabile. E non può che venirmi in mente, tanto per citarne solo uno, La bestia dentro di Kevin Brooks.  
Ma qui l’approdo che Cinquetti sceglie è diverso. Nel romanzo di Brooks la mente del protagonista lega in modo claustrofobico l’intera vicenda narrata. Invece in qualche modo Cinquetti si accosta più felicemente al genere del “giallo”, preparandoci a una rivelazione che conferisce un senso differente a tutto quello che abbiamo fino ad allora letto. Sebbene non ci sia un’indagine e non si accenni in realtà neanche a un omicidio, la scrittura precisa e asciutta del romanzo apre pian piano la scena su una realtà che si è tentato inutilmente di nascondere. 
Come fosse un cadavere malamente occultato, buttato in acqua e che a un certo punto però riaffiora. Solo che qui l’elemento naturale che fa da detonatore è, neanche a farlo apposta, il fuoco. 
E a decidere con forza che non si può chiudere tutto dentro una cantina sarà semplicemente una scintilla. 

Teodosia 

"La bestia di Waltanna", Nicola Cinquetti, Pelledoca 2025 


lunedì 6 ottobre 2025

LA BORSETTA DELLA SIRENA (libri per incantare)

RICAMO INTORNO AD ANDERSEN 

Il rospo. E altre storie di Hans Christian Andersen
Valentina Pellizzoni, Silvia Molteni 
Topipittori 2025 


NARRATIVA ILLUSTRATA PER MEDI (dai 7 anni) 

"Andersen racconta in un modo che ai suoi tempi era più vicino al parlato che allo scritto: ricorre a modi di dire, costruisce le frasi in modo strano, usa parole quasi dialettali. 
Per questo le sue fiabe cambiano molto da una traduzione all’altra. 
Un’altra grande scrittrice ha molto amato Andersen: Rumer Godden. Era certa che Andersen, prima che uno scrittore di storie, fosse un poeta e che le sue fiabe siano le sue poesie. Per questo, dice, “a volte potrebbe succedere che ai bambini sfugga il significato complessivo”. Quando leggiamo delle poesie, in effetti, non sempre capiamo proprio tutto, ci lasciamo catturare dall’atmosfera che creano con le parole, dal ritmo, le facciamo depositare dentro di noi, per poi farle riaffiorare pian piano. Questo cercava di fare Andersen con le sue fiabe, scritte in modo poetico, quasi cantando: che tutti i bambini le amassero. «Presto, crescendo, avrebbero capito; fermarsi per spiegare – come fanno le madri coscienziose – significa rovinare il ritmo, l’intera emozione» ha scritto Godden. 
Ho cercato di riportare questa musicalità nelle mie riscritture, di adeguare il linguaggio più a quello parlato che allo scritto, ho anche tolto là dove Hans aggiungeva, perché oggi i racconti sono più veloci che alla sua epoca, più lenta della nostra." 

In queste tre ultime righe c'è l'intento di questo libro. 
L'antefatto invece contiene in sé tre cose. 
La prima: una passione di Valentina Pellizzoni per le fiabe di Andersen. 
La seconda: una sapiente propensione di Valentina Pellizzoni al racconto orale, al far diventare storia degli accadimenti, detta a voce.
La terza: un pugnetto di buone amiche intorno a Valentina Pellizzoni. La prima, Giovanna Zoboli, stima giustamente Valentina Pellizzoni per molte cose, ma anche e soprattutto, per quella sapiente propensione di cui sopra. La seconda, Silvia Molteni, con Valentina Pellizzoni condivide gli stessi prati, gli stessi boschi, la stessa amata terra e la natura intorno a casa. 


A Giovanna Zoboli che incidentalmente pubblica libri spetta invece il merito di aver offerto ai due fili di questo ricamo intorno ad Andersen, la Vale e la Silvia, la possibilità di unirsi e chiudersi in un centrino perfetto. 
Così accade che Valentina Pellizzoni scelga fra le più di centocinquanta fiabe quelle sei che possono stare meglio di altre nelle orecchie dei bambini di oggi e che siano adatte alle matite e ai pennelli di Silvia Molteni. Lei, da biologa appassionata, disegna di preferenza la natura circostante e dà il meglio di sé: piante e piccoli animali, come topolini e convolvoli, galli e galline, rospi e rane, cavolfiori ed esili piselli odorosi, chiocciole, bruchi che si fanno poi farfalle, convolvoli e farfaraccio. Tanto farfaraccio.
Se si torna all'intento, ossia ridare ad Andersen quel che è di Andersen, si può dire con una certa sicurezza che l'obiettivo sia stato raggiunto. 
Andersen e la sua scrittura, i suoi temi e i suoi ascoltatori. Le tre cose viaggiano di concerto. 
Andersen era ben consapevole di avventurarsi in un terreno instabile: la fiaba è per antonomasia orale, quindi metterla su carta prevedeva di farlo attraverso una scrittura che fosse scorrevole, consueta e riconoscibile, piena di dialoghi ripresi dal parlato popolare, addirittura dialettale. Solo in questo modo, Andersen lo aveva ben chiaro, avrebbe potuto raggiungere il suo pubblico, i suoi ascoltatori. Ma fa anche un'altra cosa che lo distingue dalla tradizione precedente: i suoi racconti lasciano indietro maghi e fate e streghe, ma hanno invece tanta vita comune, tanti personaggi presi a prestito dal mondo circostante: dagli oggetti agli animali da cortile. 


Se si conosce un po' Andersen, si saprà bene che i bambini rappresentano solo una porzione del suo pubblico ideale. Ed è per questo che, spesso e volentieri, non si risparmiano crudezze e finali drammatici, ma anche lezioni di morale (in questo parrebbero più favole che fiabe...), così come ironiche prese in giro della società sua contemporanea. 
Ed ecco il contemporaneo che ritorna. 
Era stata un'esigenza di Andersen e oggi diventa esigenza anche di Valentina Pellizzoni: rendere quei racconti - non credo sia un caso quella parola 'storie' nel sottotitolo - di nuovo attuali, svecchiare le sue ottocentate (e con esse tutto il lato religioso è saltato via) e mettere di nuovo in circolazione altro materiale che attesta una volta di più la potenza di un autore 'scomodo' agli occhi di un pubblico che ha cercato di fare di tutto per travisarlo. A partire dallo scempio fatto alla Sirenetta e al suo finale autentico, e alla scelta di selezionare solo ciò che non avrebbe urtato troppo i pensieri dei più piccoli: I vestiti nuovi dell'imperatore, Il brutto anatroccolo, Il soldatino di stagno, La piccola fiammiferaia
In tutte queste è chiara la morale, ma non fa loro mai troppo male. 
Valentina Pellizzoni ci dice che la sua scelta è stata dettata dal desiderio di sintonia con l'immaginario di Silvia Molteni, ma non è solo questo. 
Il motivo dell'ottima scelta di queste sei fiabe sta anche nel loro essere così sorprendentemente attuali e leggibili, a chi se la sentisse, da diventare fondanti moniti riguardo a questioni giganti.
Pur raccontando di maggiolini, formiche o moschini, baccelli maturi o giocattoli vecchi. E rospi.


Dietro come al solito ci siamo noi. 

Carla 

Noterelle al margine. Non ferire troppo i piccoli lettori sembra aver lasciato una lieve traccia anche nella riscrittura di Valentina Pellizzoni, visto che sceglie di addolcire con parole studiate una 'crudezza' di Andersen nei confronti del suo rospo. Cuore di mamma. 
E poi c'è quella "questione  del picchio", nella fiaba I fidanzati.


Il 'picchio' che compare in diverse traduzioni mi sono persuasa che potrebbe aver creato qualche problema. Mi immagino un rovello per trovare una parola maschile - la traduzione perfetta, trottola, è femminile quindi sarebbe stata foriera di altri guai, visto che cerca di fidanzarsi con una palla... - che traducesse il termine toppen
La parola 'picchio' però in italiano ha un doppio significato, altrettanto pericoloso. Forse valeva la pena di scegliere il rischio di un impatto con un vezzeggiativo 'musicalpopolare', e chiamare quindi il vecchio giocattolo nel cassetto, 'trottolino', confidando nel fatto che il dududu dadadà sia ormai retaggio solo dei più anziani. Oppure strummolo, alla napoletana? 
Si fa per gioco.